La cupola di Raffaele De Rosa

Olio su vari supporti, lino, carta di riso (diametro 363 cm, h. 57, superficie calotta 6,5 mq + 6,5 mq superficie vele, totale superficie circa 13 mq, 1999)

Raffaele De Rosa nel 1999 realizza un’opera di importanti dimensioni, installata su un supporto in ferro che la mantiene ancorata alla calotta retrostante. La scena delle nozze tra Arianna e la divinità del vino Dioniso o Bacco si ricollega allo stile pittorico dell’artista, che si esprime attraverso un universo visionario fatto di immagini evocative suggestive, luoghi e figure simboliche della tradizione narrativa e favolistica.
Raffaele De Rosa nasce a Podenzana, cresce artisticamente a Livorno, poi a Firenze. Dal 1994 prosegue la sua ricerca di immagini leggendarie, esponendo in mostre personali e rassegne in Italia e all’estero.
Una classica rappresentazione delle nozze tra Bacco e Arianna. Abbandono, disperazione e nuovo amore. Questi sono i temi di una delle storie mitologiche più romantiche: quella tra il Dio Dioniso (chiamato dai romani Bacco) e la dolce Arianna, figlia del re di Creta, Minosse.

La cupola di Patrizia Comand

Olio (diametro 262 cm, superficie circa 5,4 mq)

Patrizia Comand, di origine milanese, nel periodo in cui si incontra con Antonio Mastroberardino si sta dedicando al tema dell’acrobazia. L’acrobata, nella visione dell’artista, è colui che vince il peso del proprio corpo, dalle forme tondeggianti a dispetto dell’agilità dei movimenti. La rappresentazione è metafora del continuo rischio di vivere: la vita come rischio, l’ineluttabilità della caduta nell’incedere del tempo che non preclude il fisico godimento dell’essere, il piacere di sentirsi corpo.
L’opera, realizzata appositamente per l’installazione nel caveau della famiglia Mastroberardino, si inserisce in maniera pungente nella storicità del luogo, in un affascinante gioco di contrasti.

La cupola di Maria Micozzi

Olio su vari supporti (diametro 363 cm, h. 57, superficie calotta 6,5 mq + 6,5 mq superficie vele, totale superficie circa 13 mq, 1999)

Raffigura le forze primarie della natura espresse nella fertilità della terra, con la rappresentazione del corpo femminile che si concentra sul ventre, e la testa del toro con lunghe corna arcuate a rappresentare la forza procreatrice umana. Dall’unione delle ancestrali forze in gioco si rinnova, per l’eternità, il mistero della vita rappresentato dalla metafora del rinnovarsi, anno dopo anno, della vite che superata la stasi del freddo inverno torna a dar sostegno ai nuovi tralci.
Le figure senza testa, che ritornano nel percorso espressivo dell’artista, simboleggiano il taglio del pensiero, del ragionamento, delle passioni.
Nell’opera di Maria Micozzi materiali diversi, immagini figurative, immagini astratte, geometrie, convergono verso la coesistenza di contrasti, dissonanze che sviluppano il tema della complessità. La scena è dominata da corpi femminili plastici, erotici e sensuali. Gli elementi simbolici che compongono l’assieme sono disposti in maniera frammentaria, si pongono in relazione tra loro dando luogo a un linguaggio.
Quest’opera è stata realizzata su supporti in pelle e materiali vari.
Maria Micozzi, originaria di Tolentino, dopo studi in campo neuropsicologico, psicoanalitico, epistemologico, si dedica alla pittura e alla scultura a partire dagli anni ’80. Sue opere sono in musei pubblici e privati in Italia e all’estero.

Incisione di Eugen Drăguţescu

(cm 34×24, 1974)

Drăguţescu fu pittore romeno naturalizzato italiano (Iaşi, Romania, 1914 – Roma 1993). Studiò a Bucarest e poi a Roma, dove si trasferì assumendo nel 1964 la cittadinanza italiana. Fu amico di Giuseppe Ungaretti e disegnò ritratti di personalità di spicco come Giovanni Papini, Eugenio Montale, Dino Buzzati, Ennio Francia, Constantin Brâncuși, Ana Blandiana.
Notevoli i disegni e le incisioni, di una nervosa sensibilità volta a individuare sottilmente i più svariati soggetti, spesso ritratti, scene di vita cittadina e religiosa. Alcune sue opere sono conservate ad Assisi e in varie collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.

Durante una visita presso casa Mastroberardino entrò in contatto con la vibrante passione di Antonio Mastroberardino, al quale volle dedicare un’incisione riproducente uno scorcio del labirinto delle grotte di affinamento situate nel cuore delle cantine di famiglia, che furono impiegate come rifugio anti-bombardamento nel 1943.
L’opera, del 1974, è esposta nel palazzo di famiglia.

Baccanale III di Doina Botez

Olio su tela (cm 100×120, 1997)

Questo dipinto è il terzo del trittico inserito nel ciclo tematico “Il colore di Dioniso” realizzato tra il 1993 e il 1998.

Due di queste tre opere fanno parte della collezione di Casa Mastroberardino.
La terza, secondo le ultime informazioni disponibili, si trova presso un collezionista tedesco.

Baccanale II di Doina Botez

Olio su tela (cm 120×100, 1997)

Questo dipinto, insieme al “Baccanale III”, fa parte di un trittico inserito in un ciclo tematico dal titolo “Il colore di Dioniso” realizzato tra il 1993 e il 1998, ove l’artista si interroga sul rapporto tra Dioniso e la nostra quotidianità.
Nell’antica Grecia il vino simboleggiava il sangue di Dioniso e rappresentava la bevanda dell’immortalità.
L’interiorità dell’artista si dibatte in questi tratti nel complesso e lacerante dilemma fra apollineo e dionisiaco.

“Vite – Vita”, mosaico di Felice Nittolo

Mosaico (cm 185 x 110, 2001)

L’opera Vite-Vita nasce dalla simbologia della Vite e della Vita, così strettamente legate alla storia di questo luogo e alla particolare attività della famiglia Mastroberardino, il cui logo dorato emerge dalla pianta Vite e Vita.
All’interno di una cornice ondulata che ricorda alcuni pavimenti dei mosaici Romani, volutamente citati da Nittolo per la vicinanza di questo luogo al famoso sito Archeologico Abellinum, si erge e si cala una pianta di vite ricca di lucenti grappoli d’uva.
Un prato collinare realizzato in tipici smalti in pasta vitrea insieme a brillanti tessere d’oro sapientemente collocate cattura lo sguardo dell’osservatore mettendo in evidenza la particolare sensibilità dell’artista che ha saputo cogliere la luce quale caratteristica dell’opera.
Nittolo ha realizzato l’opera tagliando le tessere manualmente una alla volta, così come un pittore realizza l’opera pennellata dopo pennellata. Su una malta appositamente preparata, le tessere, ora in pasta vitrea, ora lapidee, arricchite da oro (lo stesso usato 1500 anni fa nei mosaici di Ravenna) sono state collocate in modo che ognuna dialoghi con le altre e tutte rimandano un messaggio di luce e di storia.
Irpino di nascita, ravennate per amore del mosaico, Felice Nittolo è artista innovatore e sperimentatore dell’Arte Musiva contemporanea.

“The Tissue of Time”, Coderch & Malavia

Statua in bronzo (cm 114x46x31, 2020)

L’opera in bronzo entra nella collezione Mastroberardino nel settembre 2020, per volontà di Piero Mastroberardino.
The Tissue of Time, è la rivisitazione operata dagli scultori Coderch & Malavia del mito di Penelope che attende il ritorno di Ulisse intrecciando e disfacendo la sua tela.
Questa Penelope è emozione annodata in un istante. Gli artisti colgono in lei una parte della loro riflessione sulla bellezza, imprigionata in un frammento. Ferma sul piedistallo ella offre lo sguardo con intrigante sensualità, avvolta nella tela che fluisce fra le sue mani come un tempo interminabile.
Gli artisti Joan Coderch e Javier Malavia, di origine spagnola, dopo una serie di esperienze individuali iniziano a collaborare nel 2015 affascinati dalla scultura figurativa. Hanno partecipato a numerose esibizioni e mostre individuali e collettive.

“Percorsi della memoria”, di Aldo Melillo

Bassorilievo in bronzo (cm 126×90, 2001)

L’opera, realizzata nel 2001 per volontà di Antonio Mastroberardino ad opera dell’artista irpino Aldo Melillo, consiste in un bassorilievo in bronzo che riproduce scene di lavorazione della vendemmia in vigna e in cantina.
Dedicata alla storia secolare della famiglia Mastroberardino, dispone in primo piano, sulla sinistra seduto un personaggio che riproduce le sembianze di Angelo Mastroberardino (1850-1914), al quale poggia amorevolmente la mano sulla spalla il figlio Michele Mastroberardino (1886-1945). Quest’ultimo tiene la mano di un fanciullo, che nell’idea dell’artista raffigura il committente, Antonio Mastroberardino (1928-2014).
In testa all’opera, al centro, è riprodotto lo storico crest di famiglia Mastroberardino.

“Le nozze di Arianna”, cupola di Doina Botez

Olio su vari supporti (diametro 363 cm, h. 57, superficie calotta 6,5 mq + 6,5 mq superficie vele, totale superficie circa 13 mq, 2000)

Il dipinto fu commissionato da Antonio e Piero Mastroberardino alla fine degli anni Novanta e completato nel 2000.

L’opera monumentale raffigura un baccanale con personaggi e simboli tipici del corteo dionisiaco, legati alla vite, al vino, alla prosperità, ai festeggiamenti.

Ricca di colori e forme, torna a parlare di Dioniso, l’altro nome di Bacco, antico Dio greco della vegetazione, la linfa vitale che scorre nelle piante. In seguito è identificato come Dio dell’estasi, del vino, della sensualità e della libertà e del potere delle passioni: l’essenza della vita nel suo scorrere infinito e selvaggio.
Nell’antica Grecia il vino era anche il simbolo del sangue di Dioniso e per questo motivo era ritenuto donare l’immortalità.
Peculiare è la firma dell’artista, apposta riproducendo il proprio volto inserito nel corpo di un felino su un’ala del dipinto.
L’opera orna una delle cupole delle grotte di affinamento della cantina d’arte di famiglia Mastroberardino.
L’artista, Doina Botez, è pittrice di chiara derivazione espressionista. Nata a Bucarest nel 1951, dal 1989 si è trasferita a Roma.